“Diritti al Lavoro e Diritti nel Lavoro” questo il titolo
dell’incontro di ieri alla festa di SEL a Moie (AN) .
Si parla incessantemente nel Paese di Diritti e Lavoro ma la
soluzione del problema non è nemmeno lontanamente in vista, non c’è minimamente traccia di
quella famosa luce in fondo al tunnel.
La discussione della serata si collegava ad una rilettura di
un saggio di Rosa Luxemburg che sto facendo proprio in questi giorni. Quando
sento che il mio impegno politico ha un momento di stanca, a causa di delusioni
o scoramenti vari, cerco conforto nelle letture dei grandi personaggi che hanno
reso grande la sinistra, sperando di ritrovare stimoli o ragioni per non
mollare e stavolta è toccato a Rosa
Luxemburg.
Rosa Luxemburg gia nella fine dell’ottocento individuava i
limiti dell’azione sindacale, che secondo alcuni famosi studiosi e politici
dell’epoca, aveva come obiettivo “la capacità di influenzare in maniera
crescente la regolazione della produzione e a fissare limiti nei prezzi delle
merci”, questo allo scopo di indebolire il proprietario capitalista fino al
crollo del sistema capitalistico. Le lotte sindacali e politiche per le riforme
sociali avrebbero portato “un controllo sociale sulla produzione”. Questi
obiettivi però si sono dimostrati nel tempo al di fuori della sfera di influenza
dei sindacati i quali non potendo determinare e tanto meno rovesciare queste
regole e nemmeno la Legge dei salari, “ possono al massimo cercare di contenere
lo sfruttamento capitalistico nei limiti che si considerano normali”.
La riduzione dei salari e dei diritti sono le principali
leve del capitalismo per salvaguardare il profitto ed in mancanza di una
capacità di contrastare queste atti, al sindacato non resta che ridurre la sua
azione alla “semplice difesa dei risultati ottenuti in passato”, consapevoli
che anche “questa lotta sarà sempre più difficile”.
Le intuizioni della Luxemburg sono più che mai azzeccate, la
funzione del sindacato anche ai giorni nostri si riduce alla difesa dei diritti
ottenuti in passato. Il sindacato si occupa quasi esclusivamente di tamponare
le varie emergenze aprendo vertenze, limitandosi a contenere le riduzioni di
personale, a contrattare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, a promuovere
contratti di solidarietà, consapevole che con il tempo il terreno della lotta
dei diritti e del posto di lavoro diventerà sempre più instabile per i
lavoratori. Insomma la lotta sindacale è
relegata ad affrontare l’emergenza.
Credo molto modestamente che la lotta sindacale e quella
politica che voglia in qualche modo invertire questa tendenza a favore dei
lavoratori e del progresso non possa esimersi di affrontare la grande questione
del modello di sviluppo, in funzione non solo dei diritti dei lavoratori, ma
anche a tutela di una qualità della vita che si adegui alle nuove esigenze
sociali, e alla tutela ambientale del pianeta che ormai evidenzia una palese
insostenibilità con i ritmi di sviluppo che il sistema capitalistico impone.
Se non si affronta seriamente la questione del modello di “sviluppo”
credo che i lavoratori delle grandi aziende, per non parlare delle medio piccole non avranno speranze di
mantenere il loro lavoro, almeno non nelle formule a cui siamo abituati. La precarizzazione e la frammentazione delle tipologie lavorative non potrà che trovare terreno fertile, e nessun sindacato per come lo conosciamo adesso sarà capace di contenere lo sfruttamento.
Penso a tre grandi aziende che operano nel mio territorio: L’Indesit
a Fabriano, i Cantieri Navali ad Ancona, la raffineria a Falconara. Tre modelli
industriali in crisi, tre tipi di produzioni che si scontrano con le regole del
mercato.
Come si può pensare al futuro per queste realtà se prima non ripensiamo in maniera globale ad un altro modello economico?
Come si può pensare al futuro per queste realtà se prima non ripensiamo in maniera globale ad un altro modello economico?
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