sabato 19 febbraio 2011

RIGASSIFICATORI: TRA POLITICA E RICATTO OCCUPAZIONALE

E' assolutamente comprensibile che da parte dei lavoratori dell'API ci sia una forte preoccupazione per il futuro lavorativo. La preoccupazione di mantenere un posto di lavoro è ormai comune a molti lavoratori di tutti i settori, produttivi e di servizi. La crisi economica sta mettendo in ginocchio molte famiglie e a tutt'oggi non si vedono cambi di tendenza.  E' una crisi di sistema, mondiale, globalizzata.

Vivere con il pensiero di perdere una fonte di reddito è una condizione insostenibile. Capisco quindi che i lavoratori dell'API ed i loro familiari cerchino in tutti i modi di evitare la sciagura. Posso capire che pur di non perderlo quel posto  qualche sacrificio lo si debba fare. E' quindi giustificabile che singoli lavoratori, accettino le volontà dell'azienda per la quale lavorano, se non hanno altra scelta. Lo hanno fatto molti operai della Fiat ad esempio, che di fronte al ricatto del padrone: "accettate le nostre regole o tutti a casa", non se la sono sentiti di mettersi di traverso. Anche all'interno della raffineria sembra che questa strategia sia predominante.

In maniera sistematica, ogni volta che si discute del piano energetico della Regione ecco che spunta drammaticamente il rischio occupazionale e subito dopo anche la sua soluzione: "fateci costruire le centrali, fateci costruire il rigassificatore e i posti di lavoro saranno garantiti" sentenzia l'azienda. Di fronte a questo scenario, è chiaro che il lavoratore si schieri a fianco del suo datore di lavoro, non ha alternativa, quindi sceglie giustamente la via più semplice.

Meno comprensibile è l'atteggiamento di alcuni partiti politici e di alcune forze sindacali. Riguardo i sindacati peraltro sarebbe utile conoscere, quale sia la posizione ufficiale sulla questione centrali e rigassificatori. Le posizioni sono unitarie dell'intero sindacato? O della sola RSU? O ancor più semplicemente di alcuni iscritti al sindacato. Non è comprensibile la totale insofferenza a voler approfondire la questione.

Certo la prima cosa che si chiede ad un sindacato è la tutela del posto del lavoro, ma non è mica l'unica; la sicurezza, la salute, il rispetto dell'ambiente dovrebbero trovare pari dignità. Una cosa è dunque che un lavoratore o gruppi di lavoratori, pur di salvarsi il posto di lavoro diventino intransigenti nei confronti di altre questioni, come quella ambientale ad esempio, un'altra cosa è la miopia della politica che in tutti questi anni di crisi petrolifera, ampiamente prevedibile, non è stata capace di vedere un pò più in la del dito con cui indicava il padrone della raffineria.

Mi spiego meglio, la raffineria si è sviluppata negli anni fino a sottrarre ampie fette di territorio alla città, nonostante la crisi energetica palpabile da molti anni. In questo tempo nessuno ha messo in atto una seria politca di riconversione, di bonifica, a tutela del territorio e dei lavoratori. La politca si è sempre limitata ad accettare le proposte e ad assecondarle, in maniera ipocrita, lasciando soli  i cittadini, con le loro poche forze, a difendere i loro diritti.
Diritti, certo!! Perchè se è vero che i lavoratori hanno il diritto di difendere il loro posto di lavoro anche i cittadini hanno il diritto di chiedere maggiore sicurezza in campo sanitario, e perchè no, il diritto di vivere in un ambiente più pulito.

I giornali di oggi richiamano ad una spaccatura all'interno del maggiore partito della città, il PD. Alcuni iscritti infatti chiedono al Partito un ampio confronto sulla questione API. Il confronto è sempre auspicabile e spero che presto il PD potrà rispondere con una sola voce, possibilmente in maniera inequivocabile. Spero anche in un confronto serio e civile tra i cittadini ed i lavoratori, perchè anche questa situazione di contrapposizione sta diventando insostenibile.

In attesa di questa chiarificazione interna, mi permetto di dare una traccia su cui discutere: visto che i firmatari del comunicato di oggi dicono: “La logica che ci anima e contraddistingue  è poggiata sull’incertezza occupazione per i circa 1500 lavoratori della raffineria Api e dell’indotto".
Allora se questa è la preoccupazione invito a prendere in considerazione i dati ufficiali circa il numero dei posti di lavoro che serviranno per la gestione delle centrali e del rigassificatore.
Una avvertenza, i dati sotto segnalati si riferiscono a strutture di grandi dimensioni,è presumibile che per Falconara i posti necessari siano molti meno.

La Centrale turbogas di Montalto di Castro 3600 MW:
dal sito: http://www.enel.it/
L’unità di Business di Montalto di Castro è composta da 220 dipendenti ed è organizzata in 2 sezioni (1 di esercizio e 1 di manutenzione), per un totale di 191 dipendenti, e in 4 linee di staff per un totale di 28 dipendenti oltre il Direttore.

Il rigassificatore di Rovigo:
In Adriatic LNG lavorano circa 100 dipendenti, con solide esperienze e competenze, per garantire il funzionamento del terminale in modo sicuro ed efficiente.
I membri dello staff lavorano in maniera coordinata con il terminale, posizionato al largo di Porto Levante, la base operativa di terra a Porto Viro e la sede centrale di Milano.



giovedì 17 febbraio 2011

INTERVENTO ALL'INIZIATIVA DI SEL DEL 15 FEBBRAIO 2011

Intervento 15 febbraio 2011 Jesi con Fabio Mussi

Alcuni giorni fa, davanti alla vetrina di una libreria, sono stato attratto da un libretto di Giacomo Leopardi dal titolo “DISCORSO SOPRA LO STATO PRESENTE DEI COSTUMI DEGL’ITALIANI”. Mi aveva incuriosito una frase del Poeta scritta sulla copertina:

“ Or la vita degl’italiani è appunto tale, senza prospettiva di miglior sorte futura, senza occupazione, senza scopo, e ristretta solo al presente”.

Un'analisi più che mai attuale, ampiamente riconducibile nel nostro tempo. A distanza di tanti anni, nel nostro Paese, sembra che nulla sia cambiato. Quel libro infatti è stato scritto nel 1824. 187 anni fa, addirittura ben prima dell’Unità d’Italia.

Se il poeta recanatese arrivò a descrivere la vita degli italiani dell’epoca con una considerazione così spietata, mi domando cosa mai avrebbe potuto scrivere ai giorni nostri. La situazione attuale è ben peggiore di quella di allora; col senno del poi, credo che si possa dire che gli italiani dell’800, forse senza rendersene conto, avevano davanti un futuro in veloce evoluzione. Il progresso era nell’aria, importanti innovazioni avrebbero trasformato e migliorato la qualità della vita. I giovani di allora quindi potevano aspirare ad una vita migliore di quella dei loro padri. I nostri giovani, invece, in termini generali, avranno una qualità della vita peggiore delle nostre: a livello ambientale, sociale ed economico. Lo sappiamo con certezza.

Le parole del Poeta sono appropriate al nostro presente; la vita degli italiani oggi è senza prospettiva, senza occupazione, ristretta solo al presente. Non per tutti naturalmente; mi riferisco alla vita delle persone “normali”.

Questa mia breve e banale constatazione non mi impedisce però di intravvedere uno spiraglio di speranza, perché se è vero che Leopardi addebitava la condizione di vita degli italiani al diffuso individualismo, dobbiamo registrare, che in questi ultimi periodi il clima culturale e sociale del nostro Paese sembra abbia avuto un sussulto.

Succede che l’estremo individualismo, favorito soprattutto da massicce operazioni di marketing tramite le televisioni e da esempi poco edificanti, non trovi più riscontro in ampie sacche della società. Questa controtendenza è quasi impercettibile però, non perché non sia viva, ma solo perché i mezzi di comunicazione non ne danno notizia.

C’è una parte del Paese che sta cercando con forza di reagire a questo stato di degrado economico, sociale e culturale. Lo fa con i pochi mezzi a disposizione, lo fa con coraggio ed entusiasmo e forse con la consapevolezza che se le cose non le affronta in prima persona nessun altro ci penserà.

Penso agli studenti, i nostri giovani, cui abbiamo (lo dico in termini generazionali) distrutto il futuro, impedito di immaginare, di sognare. Questi studenti, che da mesi si stanno battendo senza sosta per difendere la scuola pubblica (pur consapevoli che quella attuale non è la migliore possibile), hanno capito che è indispensabile il ruolo pubblico della scuola per garantire a tutti la possibilità di studiare. Questo è uno spiraglio di ottimismo. Si sa poco o troppo poco della lotta degli studenti; purtroppo giornali e TV si sono accorti di loro solo quando alla manifestazione di protesta di Roma ci sono stati degli scontri, ed è (forse volutamente) rimasto in secondo piano il fatto che le migliaia di ragazzi erano in piazza in maniera pacifica per difendere il loro futuro e che lo facevano da mesi nel disinteresse più totale sia della stampa che delle maggiori forze politiche.

Penso ai lavoratori della Fiom; anche in questo caso dobbiamo notare un cambio di tendenza sull’estremo individualismo. A Pomigliano come a Mirafiori, i lavoratori hanno intrapreso una battaglia, lo hanno fatto sulla loro pelle, per difendere i diritti di tutti i lavoratori, per difendere il dettato costituzionale, un grande gesto di generosità nei confronti non solo dei lavoratori, ma nei confronti del nostro Paese, mai come ora così avvilito.

Penso alla grande mobilitazione del popolo dell’acqua pubblica. È stata sbalorditiva la partecipazione attiva per il referendum contro la privatizzazione dell’acqua, che ha raggiunto un milione e mezzo di firme. Anche questo un gesto a favore della collettività.

E per ultimo, ma solo in ordine cronologico, la grandiosa e civile manifestazione delle donne di domenica scorsa.

Insomma la parte nobile del nostro Paese non dorme, non si accontenta, non si arrende.

Ma in tutta questa storia manca un soggetto, un protagonista: è la politica. I partiti politici sembrano annichiliti da un verso, e totalmente asserviti al capo-padrone dall’altro, purtroppo in questi ambienti l’individualismo è ancora la norma. I Partiti non sono in grado di governare l’emergenza mentre la crisi diffusa e pesante strozza i più deboli. Gli interessi sono altri, il bene comune non è all’ODG.

Viviamo un particolare momento in Italia, di scarsa democrazia, mai così eticamente in basso. Forse non è un caso che il nostro neonato Partito stia calamitando importanti consensi proprio ora. Merito di Nichi Vendola, certo, che da grande e schietto comunicatore racconta in maniera chiara agli italiani la realtà delle cose, senza fraintendimenti. Ma penso anche che molti italiani abbiano bisogno di una componente politica credibile che comprenda gli stravolgimenti in atto e che sappia trovare una soluzione.

Penso sia questa la molla che progressivamente sta dando luogo al crescente avvicinamento di tante persone al nostro Partito. Il desiderio di una forza politica nuova che sappia governare e che non si accontenta di frequentare le stanze del potere. Una forza politica che non intende utilizzare le vecchie logiche di Partito, ma che vuole effettivamente contribuire al cambiamento in meglio del Paese, cercando quanto più possibile di attuare una politica “dal basso”.

Le persone vogliono un cambio di rotta, sperano in una forza politica che realmente si spogli delle vecchie pratiche politiciste. Cercano un Partito coerente, che metta in pratica le cose che propone. Non è facile.

Sinistra Ecologia Libertà sta andando verso questa strada, cerchiamo di non prendere scorciatoie e vorremmo entrare in comunicazione con la parte migliore del Paese. Ciò significa che questo partito è aperto, che non contano solo le tessere (ovviamente anch'esse importanti) ma che si cercherà di interagire con la parte attiva della società: movimenti, organizzazioni, centri sociali, singoli cittadini.....insomma tutti coloro che sentono di dover mettere in discussione il sistema attuale per poter suggerire idee nuove che ci possano aiutare a superare il guado.

Anche nelle Marche c’è questo orientamento: riguardo il voler rifiutare vecchie logiche partitiche, lo dimostra la netta e chiara presa di posizione di SEL alle recenti elezioni regionali. Non facciamo parte del laboratorio Marche, così è stato denominato, anche se sarebbe meglio dire “l’anomalia marchigiana”. Insomma credo che faccia ormai parte del passato la visione che per cambiare le cose, occorre stare ad ogni costo in alleanze che contrastano con la nostra idea di governo. Alle persone non interessano le alchimie politiche, di chi vorrebbe tutti nello stesso calderone, una sorta di grande ammucchiata che non dà speranza né governabilità, ma solo mantenimento del potere. Il berlusconismo si batte culturalmente, non con improbabili alleanze basate solo su calcoli numerici. Le persone vogliono concretezza, sono state scottate troppe volte. La sinistra peraltro è stata spazzata via proprio per aver ceduto ai cartelli elettorali.

Noi miriamo ad altri orizzonti, primo tra tutti quello di cambiare lo stile della politica con gli strumenti della partecipazione e della coerenza. La partecipazione la pretendiamo seriamente; a livello provinciale lo dimostra la nascita dei Forum tematici che stanno raccogliendo le competenze e le disponibilità di persone iscritte e non iscritte al partito, un tavolo di confronto e studio che ha lo scopo di costruire una piattaforma programmatica ed amministrativa con la democrazia dal basso.

Vogliamo un Paese migliore, abbiamo detto. Vogliamo riavvicinare la politica alle persone, vogliamo un cambiamento culturale della società. La società, che come scriveva il Poeta Recanatese, è il mezzo principale per sconfiggere la nullità delle cose e i difetti dell’individualismo.

La società che noi dobbiamo contribuire a cambiare.
Claudio Paolinelli