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sabato 3 agosto 2013

LAVORO, DIRITTI, SINDACATO E POLITICA


“Diritti al Lavoro e Diritti nel Lavoro” questo il titolo dell’incontro di ieri alla festa di SEL a Moie (AN) .
 
Si parla incessantemente nel Paese di Diritti e Lavoro ma la soluzione del problema non è nemmeno lontanamente  in vista, non c’è minimamente traccia di quella famosa luce in fondo al tunnel.
 
 
La discussione della serata si collegava ad una rilettura di un saggio di Rosa Luxemburg che sto facendo proprio in questi giorni. Quando sento che il mio impegno politico ha un momento di stanca, a causa di delusioni o scoramenti vari, cerco conforto nelle letture dei grandi personaggi che hanno reso grande la sinistra, sperando di ritrovare stimoli o ragioni per non mollare  e stavolta è toccato a Rosa Luxemburg.
 
 
Rosa Luxemburg gia nella fine dell’ottocento individuava i limiti dell’azione sindacale, che secondo alcuni famosi studiosi e politici dell’epoca, aveva come obiettivo “la capacità di influenzare in maniera crescente la regolazione della produzione e a fissare limiti nei prezzi delle merci”, questo allo scopo di indebolire il proprietario capitalista fino al crollo del sistema capitalistico. Le lotte sindacali e politiche per le riforme sociali avrebbero portato “un controllo sociale sulla produzione”. Questi obiettivi però si sono dimostrati nel tempo al di fuori della sfera di influenza dei sindacati i quali non potendo determinare e tanto meno rovesciare queste regole e nemmeno la Legge dei salari, “ possono al massimo cercare di contenere lo sfruttamento capitalistico nei limiti che si considerano normali”.
 
 
La riduzione dei salari e dei diritti sono le principali leve del capitalismo per salvaguardare il profitto ed in mancanza di una capacità di contrastare queste atti, al sindacato non resta che ridurre la sua azione alla “semplice difesa dei risultati ottenuti in passato”, consapevoli che anche “questa lotta sarà sempre più difficile”.
 
 
Le intuizioni della Luxemburg sono più che mai azzeccate, la funzione del sindacato anche ai giorni nostri si riduce alla difesa dei diritti ottenuti in passato. Il sindacato si occupa quasi esclusivamente di tamponare le varie emergenze aprendo vertenze, limitandosi a contenere le riduzioni di personale, a contrattare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, a promuovere contratti di solidarietà, consapevole che con il tempo il terreno della lotta dei diritti e del posto di lavoro diventerà sempre più instabile per i lavoratori.  Insomma la lotta sindacale è relegata ad affrontare l’emergenza.
 
 
Credo molto modestamente che la lotta sindacale e quella politica che voglia in qualche modo invertire questa tendenza a favore dei lavoratori e del progresso non possa esimersi di affrontare la grande questione del modello di sviluppo, in funzione non solo dei diritti dei lavoratori, ma anche a tutela di una qualità della vita che si adegui alle nuove esigenze sociali, e alla tutela ambientale del pianeta che ormai evidenzia una palese insostenibilità con i ritmi di sviluppo che il sistema capitalistico impone.
 
 
Se non si affronta seriamente la questione del modello di “sviluppo” credo che i lavoratori delle grandi aziende, per non parlare delle medio piccole non avranno speranze di mantenere il loro lavoro, almeno non nelle formule a cui siamo abituati. La precarizzazione e la frammentazione delle tipologie lavorative non potrà che trovare terreno fertile, e nessun sindacato per come lo conosciamo adesso sarà capace di contenere lo sfruttamento. 
 
 
Penso a tre grandi aziende che operano nel mio territorio: L’Indesit a Fabriano, i Cantieri Navali ad Ancona, la raffineria a Falconara. Tre modelli industriali in crisi, tre tipi di produzioni che si scontrano con le regole del mercato.

Come si può pensare al futuro per queste realtà se prima non ripensiamo in maniera globale ad un altro modello economico?

domenica 2 dicembre 2012

LOTTA DI CLASSE (guerra tra poveri)

C'era un pò di fermento nei giorni scorsi a Falconara. La questione è la solita ovvero quale sarà la sorte della raffineria Api dopo la chiusura forzata di un anno. C'è stato un minacciato sciopero da parte dei sindacati, poi la notizia di accordo tra le parti e tutto è rientrato.

Cosa è accaduto? E' accaduto che la dirigenza della raffineria e le forze sindacali hanno trovato la soluzione al problema prevedendo l'utilizzo della cassa integrazione dei dipendenti per tutto il periodo del fermo.

Si potrebbe dire che è una buona notizia. Peccato che anche in questo caso non c'è traccia di un piano industriale, nessuna certezza sui futuri carichi di lavoro e nemmeno sulla ripresa produttiva. Quindi questa soluzione avrà l'effetto di un panniccello caldo, che si limita semplicemente a spostare il problema occupazione e della riconversione più in là. Se ne riparlerà tra un anno.

Ma in questa storia, l'ennesima tormentata questione Api, c'è un'altra questione che non mi piace. I sindacati hanno siglato l'accordo con la raffineria a tutela dei lavoratori diretti dell'azienda, ma non c'è alcuna garanzia per i lavoratori dell'indotto, occupati in raffineria tramite società in subappalto, tanto meno sono previsti ammortizzatori sociali.

Brutta situazione. Mi chiedo come possano i sindacati accettare che i lavoratori di uno stesso sito possano ottenere disparità di trattamenti così pesanti. Eppure una confederazione dovrebbe essere portatrice di interessi generali, da difendere ai tavoli contrattuali. Fa bene la Fiom ha tenere alta l'attenzione.

 

venerdì 8 giugno 2012

LA RAFFINERIA API CHIUDE E SI FA BEFFA DEI LAVORATORI

Alla fine i nodi vengono al pettine. Ieri il gruppo dirigente della raffineria API ha annunciato la chiusura dell'impianto di Falconara Marittima per 12 mesi. Una notizia preoccupante ma non è stata una sorpresa. Da anni infatti i vertici del Gruppo petrolifero che commercializza i suoi prodotti con il marchio IP, lamentano un calo di fatturato dovuto alla crisi del settore.

Pochi (non l'azienda) però non hanno tenuto conto di questa inversione di tendenza. L'idea di una possibile riconversione del sito è sempre stata considerata soprattutto da parte di molti lavoratori alla stregua di una provocazione, un atto "terroristico" di ambientalisti senza scrupoli. Ed infatti l'opera di convincimento dei padroni della raffineria nel tempo si è fatta strada tra i lavoratori. 
Con metodi scientifici a tempi alterni arrivava una minaccia di perdita di posti di lavoro, che veniva ritirata solo dopo aver ricevuto dalla politica (la vera antipolitica) rinnovi di concessioni, autorizzazioni per centrali termiche, ed in ultimo il permesso a costruire il rigassificatore.

Quindi allontanato il pericolo del licenziamento, tutti a tapparsi occhi e orecchie per non vedere che il settore petrolifero ogni anno perdeva di redditività. Occhi, orecchie tappati ma spegnendo anche il cervello, che in condizioni normali non poteva non prevedere questo epilogo.

Con il rigassificatore addirittura si è raggiunta la cecità completa. Alcuni mesi fa, i lavoratori sono scesi in piazza non per tutelare il loro lavoro o la loro sicurezza sul lavoro, ma per chiedere la realizzazione del rigassificatore, con la sconcertante motivazione che in caso di realizzazione i padroni dell'API, nonostante le perdite milionarie, non avrebbero più licenziato alcun lavoratore. E con l'ancor più sconcertante conseguenza che la Regione Marche, il presidente Spacca e l'assessore falconarese Luchetti del PD, tutta la giunta e quasi tutto il consiglio regionale, senza valutare la situazione di crisi del settore petrolifero decisero di dare parere favorevole. 

Tutti sanno che il rigassificatore può aver bisogno al massimo di una ventina di lavoratori. Lo sa Spacca, lo sanno i padroni della raffineria, lo sanno i sindacati, ed anche i lavoratori, ma non importa, l'unica certezza e che il Conte Brachetti è stato accontentato per un altro affare miliardario a discapito del territorio e ora purtroppo vediamo, anche a discapito dei lavoratori.

Infatti adesso i vertici dell'API chiudono la raffineria per 12 mesi, senza certezze per la riapertura, saranno 400 i lavoratori diretti circa in cassa integrazione. Per i 200 lavoratori dell'indotto, quelli delle ditte esterne il futuro è ancora più incerto, meno tutele e quindi più possibilità di licenziamento.  

In tutta questa storia, è imbrazzante il sindaco di Falconara Brandoni, il quale come se uscisse da una fiaba, come la bella addormentata, si risveglia e  apprende con «forte preoccupazione» del prolungamento della chiusura della raffineria e con candore dichiara: "Che la situazione fosse molto critica si sapeva: se in tanti anni l’Api non ha messo nessuno in cassa integrazione, evidentemente ora la crisi è forte".  
Ma certo, meglio dare la colpa alla crisi, molto meglio che prendersi parte delle responsabilità. Responsabilità che ricadono equamente  su una classe politica e sindacale inadeguata e trasversale.

Ai lavoratori quindi che dire... credo che a questo punto debbano chiedere spiegazioni a chi ci li ha portati in questa brutta faccenda, chiedano ai padroni dell'API, ai politici, a Spacca e a Luchetti, al Sindaco di questa degradata città, ma soprattutto chiedano spiegazioni al sindacato, ad alcuni dei responsabili che mi dicono abbiano fatto carriera.

Ai lavoratori esprimo la mia solidarietà, una umana solidarietà di chi conosce molto bene la condizione di disoccupato, ma alla solidarietà esprimo anche una speranza: che Falconara abbia la capacità al più presto di eleggere una nuova guida amministrativa, per la rinascita sociale e culturale di questa città, che metta al primo punto l'interesse di tutti i cittadini e non l'interesse del potente di turno.

giovedì 6 gennaio 2011

PERCHE’ STARE CON LA FIOM

Ancora una volta la Fiom, si carica sulle spalle la responsabilità di difendere le regole democratiche in questo Paese, lo fa sottoponendosi a critiche che gli provengono non solo dalla dirigenza della Fiat, ma anche e soprattutto dalle altre sigle sindacali, da parte della stessa CGIL, da molte forze politiche. Una lotta per la democrazia che non è una semplice tutela dei diritti di una parte di lavoratori, quelli metalmeccanici, ma una lotta che tenta di mettere un argine allo straripante tentativo di annullare molti dei diritti ottenuti dai lavoratori e che pregiudicheranno la qualità della vita dei lavoratori stessi, anche in termini di sicurezza.

Solo, pochi mesi fa, a Pomigliano, la Fiat con Marchionne riuscì a strappare ai lavoratori un SI sul referendum, che in realtà era un vero e proprio ricatto occupazionale. Sul tavolo nuovi investimenti in cambio di eliminare alcuni diritti fondamentali. A parte la FIOM che si oppose, le altre forze sindacali giustificarono questo grave atto, per le mutate condizioni economiche, colpa della crisi del settore, il bisogno di ristrutturare l’azienda. Molti minimizzarono, tra questi anche alcuni partiti politici, la richiesta della Fiat la consideravano come un fatto straordinario, una eccezione che i lavoratori potevano accettare, che questa modalità era fine a se stessa e riguardava solo Pomigliano, insomma il male minore di fronte alla perdita del posto del lavoro.

I lavoratori di Pomigliano affrontarono con grande dignità quel referendum, una scelta che cambiava loro il futuro, ed in molti risposero di NO. Sono stati coraggiosi e generosi, e tutti i lavoratori italiani dovranno ringraziarli a lungo.

Passano solo pochi mesi e il metodo Marchionne riappare con tutta la sua drammaticità, e con una maggiore veemenza. Ora anche Mirafiori si trova a fare i conti con il terribile ricatto occupazionale: “ volete lavorare o volete che trasferiamo la produzione delle auto all’estero?”. Stavolta se possibile le condizioni sono peggiori di Pomigliano, stavolta si stravolgono le regole contrattuali, si escludono dalle trattative aziendali le sigle sindacali (FIOM) che non firmano gli accordi.

Sembrerebbe un problema esclusivo dei lavoratori del settore metalmeccanico, dei lavoratori della Fiat, ma non è così. Questi attacchi frontali da parte della maggiore azienda industriale del Paese, aprono la strada ad ulteriori limitazioni dei diritti anche negli altri settori. La tentazione di emulare Marchionne è forte anche da parte di altri manager. Dirigenti sparsi nelle aziende italiane si atteggiano ed addirittura si vestono come Marchionne, con il reale rischio che questi cloni “dell’UOMO DELL’ANNO” , con capacità intellettive e manageriali spesso infinatamente inferiori del loro idolo, faranno della deregulation una bandiera, spingendo nell’angolo (licenziare) chi oserà protestare. I lavoratori delle piccole imprese, quelle del commercio ad esempio, quelli meno tutelati sindacalmente pagheranno un prezzo molto alto per lo sdoganamento messo in atto da Marchionne, con l’approvazione di questo Governo e purtroppo della quasi totalità delle forze politiche e sindacali.

L’Italia dopo il berlusconismo ora si appresta a vivere e subire il marchionnismo.

Basta andare nei posti di lavoro per respirare l’aria che tira. La crisi giustifica tutto, i licenziamenti sono una procedura normale per abbattere i costi, la precarietà è diventata la regola, gli orari di lavoro aumentano, si lavora nei festivi, spesso gli straordinari nemmeno vengono pagati ma conteggiati nelle banche ore.

Ecco, questo mi sembra un buon motivo per sostenere la lotta della FIOM, del suo segretario Landini, dei coraggiosi lavoratori metalmeccanici. Ecco perché il 28 gennaio bisogna andare in piazza per lo sciopero generale indetto dalla FIOM.