mercoledì 25 luglio 2012

PROPAGANDA E SPONSOR

Ho trovato stamattina nella cassetta della posta un nuovo numero del"in FALCO" una pubblicazione con il patrocinio gratuito del Comune di Falconara il cui direttore è Goffredo Brandoni, il sindaco della città.

Ho avuto modo di parlare già di questa anomalia un paio di anni fà, (leggi qui) ma evidentemente la questione non è chiusa anzi.

La pubblicazione che ha l'apparente formato di un giornalino di informazione, in realtà è uno strumento di propaganda dell'amministrazione comunale che non fa altro che enfatizzare i bei gesti del sindaco e raccontare quanto sono bravi I "nostri" a governare la città. In questo giornalino la parola è concessa solo agli assessori e al sindaco, senza uno straccio di contraddittorio. Un giornale di regime insomma, con tanto di foto del sindaco in posa nelle più svariate occasioni.

Mi domando se una pubblicazione di questo tipo abbia le caratteristiche per essere un organo istituzionale, quindi pubblico, visto che il giornale arriva nelle case delle famiglie falconaresi con tanto di logo comunale.

A questo giornale manca lo spazio partecipativo delle forze di minoranza nel consiglio comunale, ma non solo, non c'è un spazio nemmeno per la parola ddei cittadini. Insomma, propaganda politica mascherata per informazione amministrativa.  

In prima pagina una nota evidenzia che la realizzazione del FALCO, è a costo zero grazie alla generosa collaborazione di sponsor privati. Ecco, come cittadino vorrei almeno sapere chi sono questi generosi sponsor e qual'è la loro quota versata. Questa mia curiosità la giro ai consiglieri comunali sperando che qualcuno voglia approfondire la questione.

sabato 21 luglio 2012

SIAMO TUTTI RAZZISTI


Ieri l'altro ero in piazza con altre persone, con un banchetto per raccogliere le firme per una proposta di Legge sul reddito garantito. Una Legge che dovrà equiparare l'Italia a quasi tutti i paesi europei al riconoscimento del diritto alla dignità umana e al sostegno minimo di sopravvivenza. In pratica la Legge chiede che ai disoccupati, ai precari con salari irrisori venga riconosciuto un sostegno economico nel rispetto del dettato costituzionale che indica il lavoro e la dignità della persone come Diritti inalienabili. Ma non è di questa Legge che voglio parlare, piuttosto vorrei fare una riflessione sulla discussione che questa iniziativa ha innescato tra la gente incontrata in piazza. Una minoranza assoluta a dire il vero, ma che hanno destato in me una forte preoccupazione che ora proverò a condividere.


E' accaduto che alcune persone, una volta spiegate le motivazioni della raccolta delle firme, abbiano espresso contrarietà all'iniziativa, non tanto perchè contrari sulla funzione sociale e di sostegno della Legge, ma per il timore che l'iniziativa potesse in qualche modo favorire anche gli immigrati. Non sono mancate esclamazioni pesanti su queste persone, fatte in maniera generica. Affermazioni del tipo: "che tornino a casa loro", "sono tutti fannulloni", "le case e il lavoro prima agli italiani" ecc.

Tutte frasi che conosciamo già, ma in questo caso le ho ascoltate da persone che dicono di essere di sinistra e che hanno iniziato il discorso con la canonica frase: "premetto che non sono razzista".

Forti di questa preoccupazione, nonostante conoscano in prima persona il problema della precarietà e della crisi del lavoro, nonostante abbiano in famiglia figli e nipoti precari o disoccupati, hanno rifiutato di firmare le proposta di Legge. In pratica piuttosto che "rischiare" che lo Stato possa concedere un diritto agli immigrati, preferiscono non concederlo nemmeno ai loro figli, nipoti e a loro stessi. A proposito si potrebbe citare un famoso detto popolare, ma non lo citerò perchè credo sia ben conosciuto.

Come chiamare questo atteggiamento? Io direi razzismo. Non quello istintivo, quello scaturito dalla paura per il diverso. Quello è un tipo di razzismo che il tempo, la conoscenza e la cultura può provare a smussare, anche se con difficoltà. A mio modo di vedere questo è un razzismo con motivazioni molto più complesse e pericolose per la società e la civile convivenza. Questo è un razzismo consapevole dietro al quale c'è la rabbia sociale causata  dalla perdita di certezze acquisite (lavoro, sicurezza economica). Un razzismo consapevole che dalla paura per un futuro incerto, individua un falso obiettivo per scaricare la responsabilità dello status quo. Un razzismo che cresce con l'aumentare della precarietà, con il degrado sociale, un razzismo alimentato da decenni di campagne mediatiche tutte basate sull'individualismo.

Ai nostri figli cresciuti con pane e televisione è stato inoculato un "vaccino culturale" che impedisce loro di pensare in funzione collettiva. La competizione, l'egoismo, diventano le "qualità" per poter sopravvivere al mercato della vita. La condivisione e la solidarietà sono invece considerati fardelli opprimenti, che impediscono il successo e la "felicità", ed in questa fase di particolare austerità il campo è particolarmente fertile, soprattutto nei suburbi, nelle periferie, una guerra tra poveri a contendersi un tozzo di pane come dei cani randagi. Con questo clima a guadagnarci però non è la colletività ma nemmeno il singolo, l'individualista che con lo scudo del razzismo crede di poter sovrastare il più debole. Ho parlato finora di immigrati, ma ovviamente il razzismo consapevole non si ferma ai confini geografici, nè al colore della pelle, al contrario colpisce ogni parte di società che scopre una debolezza. Quindi l'accanimento si abbate sui clochard, sugli omosessuali, sulle donne, esattamente come è sempre accaduto in passato, in America con gli afroamericani, in Germania con gli ebrei, gli zingari, i disabili. Noi tendiamo a dimenticare, ma questa forma di razzismo ha colpito anche gli italiani che sopportarono trattamenti bestiali quando furono costretti dalla grande miseria che affamava l'Italia ad emigrare negli Stati Uniti, nel nord Europa, ma anche solo dal sud d'Italia al nord.

Quindi il razzismo come strumento difensivo. In realtà però questa guerra al diverso e al più debole non porta alcun beneficio. E' una guerra ordita da chi ha interesse a che nel mondo prevalga l'egoismo, alla solidarietà, l'individualismo alla collettività, perchè si sa è molto più facile governare quando il popolo è diviso .

Divide et impera, una strategia che impedisce alle persone di coalizzarsi per mettere in discussione il potere dominante, vero responsabile delle iniquità mondiali e quindi anche della attuale situazione di estrema incertezza sociale del nostro Paese. Potere dominante che plasma la cultura delle persone, portandole in conflitti in cui non ci sarà un vincitore se non il potere stesso.

Immagine tratta da: http://www.immigra.it/es