Resta il fatto però che in Italia il disagio e la rabbia covano da molto tempo e le forze di sinistra e le organizzazioni sindacali sembrano non comprendere e infatti sono relegate ai margini.
I sindacati non rappresentano nè tutelano le nuove categorie di sfruttati, di precari, di disoccupati. Sono condizionati dal PD e si limitano ad organizzare inoffensive e autocelebrative manifestazioni con al seguito stuoli di anziani usati quasi come comparse.
I partiti invece sono a distanze siderali dal mondo reale, ostaggi dei loro stessi difetti, tutti presi ad autoconservare un ceto politico inutile al Paese.
Lo scenario è deprimente ed è ora di fermarsi con i tatticismi, e smetterla di dire mezze parole incomprensibili.
Credo che da qui a breve i partiti e i sindacati verranno spazzati via dalla rabbia che è alimentata dalla miseria e ancor peggio dal populismo.
Ho come il presagio che se ciò accadrà la rabbia non farà distinzioni tra peggio e meno peggio!
A farne le spese sarà la democrazia,
che da un lato viene attaccata attraverso le modifiche costituzionali
e dall'altra da un vento reazionario e di protesta populista fuori
controllo. A farne le spese saranno le persone.
Occorre sottolineare una netta
differenza tra i movimenti di lotta studentesca e dei lavoratori e la
protesta dei Forconi. La stragrande maggioranza di quelle persone che
si sono ritrovate nel movimento "9 dicembre" è in rivolta
per riottenere il tenore di vita perduto con la crisi perdurante.
Sono gli "impoveriti" e non sembrano interessati ad
affrontare le ragioni della crisi. Probabilmente non se ne sono mai
occupati. Non pensano che forse è arrivato il momento per mettere
in piedi un altro modello di sviluppo, più attento alla persona e
all'ambiente, sostenibile socialmente e ambientalmente.
Per molti di loro il solo obiettivo è
quello di riottenere o mantenere le abitudini consolidate, lo status
di ceto medio che la crisi rimette in discussione. Preparano una
rivoluzione ma non conoscono il loro avversario, generalizzano
tirando pietre alle ombre e urlando alla luna.
Insomma è come se dicessero: "ho
la febbre e voglio che mi passi, e non mi interessa sapere perché ho
la febbre, ma mi deve passare subito!"
Una febbre, lo sappiamo, causata dal
liberismo. La battaglia va fatta contro il modello finanziario e
capitalistico che siede nella stanza dei bottini e muove i fili a cui
sono legati i governanti.
Poi c'è Il problema
dell'individualismo, conseguenza comportamentale che deriva dal
liberismo. Tutte queste persone che stanno in piazza con i forconi
non formano un collettivo, sono differenti tra loro, non appena
avranno ottenuto quel che chiedono (se mai l'otterranno), torneranno
nelle loro case a pensare ai fatti propri riprendendo a
infischiarsene di come và il mondo.
Riassumo il mio pensiero: Il movimento
dei forconi pensa al mantenimento del tenore di vita del ceto medio
e non è interessato a battersi per sconfiggere il liberismo, non
vuole l'uguaglianza, vuole ottenere una fetta della torta, si limita
a chiederne una porzione, disinteressandosi degli ingredienti di
quella torta.
Ma a sinistra invece come si sta
affrontando il problema della crisi?
Purtroppo vedo sempre in maniera netta
nuove forme di individualismo anche a sinistra e tra le categorie che
debbono le loro forze residue all'agire collettivo del passato.
La crisi comprime le vene di chi la
subisce, e la mancanza di una soluzione offusca i pensieri. Spesso
questa situazione obbliga a fare scelte che in momenti normali forse
non si sarebbero mai fatte ed è comprensibile che singolarmente ci
sia la tendenza a cedere a compromessi al ribasso pur di
sopravvivere. Meno comprensibile quando quelle scelte le fanno anche
le categorie di rappresentanza dei lavoratori le quali invece
dovrebbero avere il sangue freddo e lo sguardo rivolto al di là
della barricata per immaginare un futuro, nonostante l'emergenza e la
gestione del presente. Una debolezza che fa scricchiolare il cardine
della lotta al liberismo.
Mi chiedo se l'idea di un modello
sostenibile sia una filosofia buona da discutere in un salotto o se
invece deve trovare consenso e forza per trasformarsi in azione
politica soprattutto in momenti come quelli che stiamo vivendo.
Praticare quotidianamente quell'idea è
una fatica ardua e sempre più spesso si cade nell'individualismo
anche con alcune scelte che apparentemente hanno un aspetto di tipo
collegiale. So che gli esempi che sto per fare possono sembrare di
cattivo gusto e provocatori, ma penso che proprio quelle situazioni
diano il senso della distanza che c'è tra il pensare e agire
politico.
Trovo ad esempio che la scelta dei
sindacati all'interno della raffineria di Falconara di sottoscrivere
un contratto di solidarietà per scongiurare i licenziamenti senza
aver mai visto e discusso il piano industriale dell'azienda e
ignorando completamente le istanze della popolazione stanca delle
tonnellate di veleni che respirano ogni giorno, sia una forma di
individualismo, io lo definisco "individualismo colletivo"
di un gruppo isolato che in maniera corporativa prova a tutelare solo
i propri interessi. scelte che in questo caso alimentano l'eterno
conflitto tra lavoro e ambiente.
La stessa cosa vale per i lavoratori di
Fincantieri, i quali, se pur di assicurarsi il lavoro accettassero le
commesse per costruire navi gasiere o militari, abbandonerebbero
l'idea di modello socio economico sostenibile sintetizzata nel
celebre motto "un altro mondo è possibile" e la stessa
lotta al liberismo perderebbe di significato. Anche questo caso si
potrebbe configurare l'individualismo collettivo di cui ho detto
prima.
Costruire navi gasiere significherebbe
contribuire a vanificare le lotte di chi si batte contro i
rigassificatori a favore dell'energia da fonti rinnovabili.
Riflettiamo su questo punto altrimenti
dovremmo rivedere anche la nostra posizione sugli aerei da guerra F35
visto che a costruirli saranno comunque dei lavoratori che rischiano
di perdere il lavoro qualora decidessimo di non acquistarli.
Faccio questi esempi perchè le due
questioni: la crisi della cantieristica, la realizzazione dei
rigassificatori e la produzione petrolifera sono questioni del nostro
territorio marchigiano, ma è ovvio che di esempi di questo tipo ce
ne sono in ogni parte e non solo nel privato, ma anche nella funzione pubblica.
Sicuramente non si può addossare la
colpa tutta ai sindacati e nemmeno ai lavoratori minacciati dalla
perdita del lavoro, perchè quelle scelte sono influenzate e
determinate dalla politica e quindi dai partiti che in Parlamento
legiferano.
Purtroppo la politica sta vivendo uno
dei suoi periodi peggiori, è una politica che vive di slogan e
trovate di marketing per nascondere la inadeguatezza della sua classe
dirigente.
In questa fase, come non mai, sarebbe
necessario abbandonare slogan, promesse e bugie e concentrarsi per
lavorare ad una uscita dalla crisi in via democratica e a favore dei
popoli coerentemente con le idee e princìpi che si propagandano.
Questo è un compito della politica,
almeno di una parte della politica che la sinistra dovrebbe
riconoscersi. Quella che amiamo chiamare Buona Politica. Eviteremmo
al Paese la miseria ed il rischio di derive reazionarie e populiste
come la storia severamente ci ricorda.
2 commenti:
Carissimo Claudio, concordo complessivamente con le tue riflessioni, ma credo che siano caratterizzate - questo è il mio personale sentire - da una mancanza di "profondità". Voglio dire che seppure è vero che c'è chi cavalca il movimento di ribellione che, a questo punto,è limitativo chiamare "dei forconi" è pur vero che per cavalcare occorre il cavallo. Alla base,in altri termini, c'è una ribellione popolare crescente. E la ribellione nasce sempre dalla pancia. Vedi, tu più di chiunque altro puoi capire cosa significa perdere un lavoro. Ma puoi anche comprendere che alcune categorie di lavoratori, storicamente poco sindacalizzati o addirittura visti come antagonisti dalle organizzazioni dei lavoratori dipendenti, sono costretti ad affrontare la perdita di lavoro senza alcuna tutela. Si trovano dall'oggi al domani senza soldi per mangiare, privati di tutto e indebitati. Alcuni si uccidono, altri si ribellano. Io non me la sento di andare a giudicare se la loro ribellione è più o meno politicamente corretta, anche perchè tra una settimana o un mese potrei anch'io essere tra loro, come loro. Temo che non ci sia più tempo Claudio e spero solo che la situazione non degeneri in un nuovo scontro tra classi. Soprattutto spero davvero di non vedere, qualora ciò accadesse, la "sinistra" dalla parte di chi difende i privilegi acquisiti, impegnarsi a reprimere la ribellione dei nuovi proletari...
Carlo Brunelli
Condivido il post e l'analisi effettuata. Tuttavia ritengo sia necessario avviare delle iniziative reali che possano iniziare a fornire alcune risposte concrete e a dimostrare che un altro futuro è possibile. Iniziative volte alla creazione di centri di formazione professionale, incubatoi condivisi, sistemi di autoproduzione alimentare, formazione ai giovani, alle donne e alle altre categorie più deboli, sono esempi di attività concrete già realizzate all'estero insieme alla creazione di centri di produzione di beni e servizi gestiti in comune da soci attivi e passivi. La strada imboccata è quella di creare una diversa economia che consenta il sostentamento fisico ma soprattutto psichico e sociale alle persone che oggi si sentono rassegnate e isolate.
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