mercoledì 18 dicembre 2013

LA CRISI DELLA POLITICA E I FORCONI

La rivolta dei forconi si sta dimostrando una operazione in parte strumentalizzata se non organizzata da forze reazionarie e di destra e da altri gruppi non meglio identificati. Alcuni hanno agitato le "masse" altri si sono fatti infinocchiare da parole d'ordine di tipo populistico o peggio.

Resta il fatto però che in Italia il disagio e la rabbia covano da molto tempo e le forze di sinistra e le organizzazioni sindacali sembrano non comprendere e infatti sono relegate ai margini.

I sindacati non rappresentano nè tutelano le nuove categorie di sfruttati, di precari, di disoccupati. Sono condizionati dal PD e si limitano ad organizzare inoffensive e autocelebrative manifestazioni con al seguito stuoli di anziani usati quasi come comparse.
I partiti invece sono a distanze siderali dal mondo reale, ostaggi dei loro stessi difetti, tutti presi ad autoconservare un ceto politico inutile al Paese.

Lo scenario è deprimente ed è ora di fermarsi con i tatticismi, e smetterla di dire mezze parole incomprensibili.
Credo che da qui a breve i partiti e i sindacati verranno spazzati via dalla rabbia che è alimentata dalla miseria e ancor peggio dal populismo.
Ho come il presagio che se ciò accadrà la rabbia non farà distinzioni tra peggio e meno peggio!
A farne le spese sarà la democrazia, che da un lato viene attaccata attraverso le modifiche costituzionali e dall'altra da un vento reazionario e di protesta populista fuori controllo. A farne le spese saranno le persone.

Occorre sottolineare una netta differenza tra i movimenti di lotta studentesca e dei lavoratori e la protesta dei Forconi. La stragrande maggioranza di quelle persone che si sono ritrovate nel movimento "9 dicembre" è in rivolta per riottenere il tenore di vita perduto con la crisi perdurante. Sono gli "impoveriti" e non sembrano interessati ad affrontare le ragioni della crisi. Probabilmente non se ne sono mai occupati. Non pensano che forse è arrivato il momento per mettere in piedi un altro modello di sviluppo, più attento alla persona e all'ambiente, sostenibile socialmente e ambientalmente.

Per molti di loro il solo obiettivo è quello di riottenere o mantenere le abitudini consolidate, lo status di ceto medio che la crisi rimette in discussione. Preparano una rivoluzione ma non conoscono il loro avversario, generalizzano tirando pietre alle ombre e urlando alla luna.
Insomma è come se dicessero: "ho la febbre e voglio che mi passi, e non mi interessa sapere perché ho la febbre, ma mi deve passare subito!"
Una febbre, lo sappiamo, causata dal liberismo. La battaglia va fatta contro il modello finanziario e capitalistico che siede nella stanza dei bottini e muove i fili a cui sono legati i governanti.

Poi c'è Il problema dell'individualismo, conseguenza comportamentale che deriva dal liberismo. Tutte queste persone che stanno in piazza con i forconi non formano un collettivo, sono differenti tra loro, non appena avranno ottenuto quel che chiedono (se mai l'otterranno), torneranno nelle loro case a pensare ai fatti propri riprendendo a infischiarsene di come và il mondo.

Riassumo il mio pensiero: Il movimento dei forconi pensa al mantenimento del tenore di vita del ceto medio e non è interessato a battersi per sconfiggere il liberismo, non vuole l'uguaglianza, vuole ottenere una fetta della torta, si limita a chiederne una porzione, disinteressandosi degli ingredienti di quella torta.

Ma a sinistra invece come si sta affrontando il problema della crisi?

Purtroppo vedo sempre in maniera netta nuove forme di individualismo anche a sinistra e tra le categorie che debbono le loro forze residue all'agire collettivo del passato.

La crisi comprime le vene di chi la subisce, e la mancanza di una soluzione offusca i pensieri. Spesso questa situazione obbliga a fare scelte che in momenti normali forse non si sarebbero mai fatte ed è comprensibile che singolarmente ci sia la tendenza a cedere a compromessi al ribasso pur di sopravvivere. Meno comprensibile quando quelle scelte le fanno anche le categorie di rappresentanza dei lavoratori le quali invece dovrebbero avere il sangue freddo e lo sguardo rivolto al di là della barricata per immaginare un futuro, nonostante l'emergenza e la gestione del presente. Una debolezza che fa scricchiolare il cardine della lotta al liberismo.
Mi chiedo se l'idea di un modello sostenibile sia una filosofia buona da discutere in un salotto o se invece deve trovare consenso e forza per trasformarsi in azione politica soprattutto in momenti come quelli che stiamo vivendo.

Praticare quotidianamente quell'idea è una fatica ardua e sempre più spesso si cade nell'individualismo anche con alcune scelte che apparentemente hanno un aspetto di tipo collegiale. So che gli esempi che sto per fare possono sembrare di cattivo gusto e provocatori, ma penso che proprio quelle situazioni diano il senso della distanza che c'è tra il pensare e agire politico.

Trovo ad esempio che la scelta dei sindacati all'interno della raffineria di Falconara di sottoscrivere un contratto di solidarietà per scongiurare i licenziamenti senza aver mai visto e discusso il piano industriale dell'azienda e ignorando completamente le istanze della popolazione stanca delle tonnellate di veleni che respirano ogni giorno, sia una forma di individualismo, io lo definisco "individualismo colletivo" di un gruppo isolato che in maniera corporativa prova a tutelare solo i propri interessi. scelte che in questo caso alimentano l'eterno conflitto tra lavoro e ambiente.

La stessa cosa vale per i lavoratori di Fincantieri, i quali, se pur di assicurarsi il lavoro accettassero le commesse per costruire navi gasiere o militari, abbandonerebbero l'idea di modello socio economico sostenibile sintetizzata nel celebre motto "un altro mondo è possibile" e la stessa lotta al liberismo perderebbe di significato. Anche questo caso si potrebbe configurare l'individualismo collettivo di cui ho detto prima.
Costruire navi gasiere significherebbe contribuire a vanificare le lotte di chi si batte contro i rigassificatori a favore dell'energia da fonti rinnovabili.
Riflettiamo su questo punto altrimenti dovremmo rivedere anche la nostra posizione sugli aerei da guerra F35 visto che a costruirli saranno comunque dei lavoratori che rischiano di perdere il lavoro qualora decidessimo di non acquistarli.
Faccio questi esempi perchè le due questioni: la crisi della cantieristica, la realizzazione dei rigassificatori e la produzione petrolifera sono questioni del nostro territorio marchigiano, ma è ovvio che di esempi di questo tipo ce ne sono in ogni parte e non solo nel privato, ma anche nella funzione pubblica.

Sicuramente non si può addossare la colpa tutta ai sindacati e nemmeno ai lavoratori minacciati dalla perdita del lavoro, perchè quelle scelte sono influenzate e determinate dalla politica e quindi dai partiti che in Parlamento legiferano.

Purtroppo la politica sta vivendo uno dei suoi periodi peggiori, è una politica che vive di slogan e trovate di marketing per nascondere la inadeguatezza della sua classe dirigente.

In questa fase, come non mai, sarebbe necessario abbandonare slogan, promesse e bugie e concentrarsi per lavorare ad una uscita dalla crisi in via democratica e a favore dei popoli coerentemente con le idee e princìpi che si propagandano.
Questo è un compito della politica, almeno di una parte della politica che la sinistra dovrebbe riconoscersi. Quella che amiamo chiamare Buona Politica. Eviteremmo al Paese la miseria ed il rischio di derive reazionarie e populiste come la storia severamente ci ricorda.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Carissimo Claudio, concordo complessivamente con le tue riflessioni, ma credo che siano caratterizzate - questo è il mio personale sentire - da una mancanza di "profondità". Voglio dire che seppure è vero che c'è chi cavalca il movimento di ribellione che, a questo punto,è limitativo chiamare "dei forconi" è pur vero che per cavalcare occorre il cavallo. Alla base,in altri termini, c'è una ribellione popolare crescente. E la ribellione nasce sempre dalla pancia. Vedi, tu più di chiunque altro puoi capire cosa significa perdere un lavoro. Ma puoi anche comprendere che alcune categorie di lavoratori, storicamente poco sindacalizzati o addirittura visti come antagonisti dalle organizzazioni dei lavoratori dipendenti, sono costretti ad affrontare la perdita di lavoro senza alcuna tutela. Si trovano dall'oggi al domani senza soldi per mangiare, privati di tutto e indebitati. Alcuni si uccidono, altri si ribellano. Io non me la sento di andare a giudicare se la loro ribellione è più o meno politicamente corretta, anche perchè tra una settimana o un mese potrei anch'io essere tra loro, come loro. Temo che non ci sia più tempo Claudio e spero solo che la situazione non degeneri in un nuovo scontro tra classi. Soprattutto spero davvero di non vedere, qualora ciò accadesse, la "sinistra" dalla parte di chi difende i privilegi acquisiti, impegnarsi a reprimere la ribellione dei nuovi proletari...

Carlo Brunelli

Davide Di Crescenzo ha detto...

Condivido il post e l'analisi effettuata. Tuttavia ritengo sia necessario avviare delle iniziative reali che possano iniziare a fornire alcune risposte concrete e a dimostrare che un altro futuro è possibile. Iniziative volte alla creazione di centri di formazione professionale, incubatoi condivisi, sistemi di autoproduzione alimentare, formazione ai giovani, alle donne e alle altre categorie più deboli, sono esempi di attività concrete già realizzate all'estero insieme alla creazione di centri di produzione di beni e servizi gestiti in comune da soci attivi e passivi. La strada imboccata è quella di creare una diversa economia che consenta il sostentamento fisico ma soprattutto psichico e sociale alle persone che oggi si sentono rassegnate e isolate.