Pubblico questa bella lettera dal carcere di Antonio Gramsci, pensando a tutte quelle persone che in questo periodo particolarmente duro hanno avuto e hanno difficoltà, che sono cadute e che faticano a rialzarsi. A quelle persone che arrivate ad un certo punto non sanno più a chi rivolgersi e pensano che con le proprie forze non ce la faranno.
Carissima Iulca,
ho ricevuto i tuoi foglietti, datati da
mesi e giorni diversi.
Le tue lettere mi hanno fatto ricordare
una novellina di uno scrittore francese poco noto, Lucien Jean,
credo, che era un piccolo impiegato in una amministrazione municipa
le di Parigi. La novella si intitolava Un uomo in un fosso.
Cerco di ricordarmela.
– Un uomo
aveva fortemente vissuto, una sera: forse aveva bevuto troppo, forse la vista continua di
belle donne lo aveva un po' allucinato. Uscito dal ritrovo, dopo aver
camminato un po' a zig-zag per la strada, cadde in un fosso. Era
molto buio, il corpo gli si incastrò tra rupi e cespugli; era un
po' spaventato e non si mosse, per timore di precipitare ancora piú in fondo. I cespugli si
ricomposero su di lui, i lumaconi gli strisciarono addosso
inargentandolo (forse un rospo gli si posò sul cuore, per sentirne
il palpito, e in realtà perché lo considerava ancor vivo).
Passarono le ore; si avvicinò il mattino e i primi bagliori
dell'alba, incominciò a passar gente.
L'uomo si mise a gridare aiuto.
Si avvicinò un signore occhialuto; era
uno scienziato che ritornava a casa, dopo aver lavorato nel suo
gabinetto sperimentale. Che c'è? domandò. – Vorrei uscire
dal fosso, rispose l'uomo. – Ah, ah! vorresti uscire dal fosso! E
che ne sai tu della volontà, del libero arbitrio, del servo
arbitrio! Vorresti, vorresti! Sempre cosí l'ignoranza. Tu sai una
cosa sola: che stavi in piedi per le leggi della
statica, e sei caduto per le leggi della cinematica. Che ignoranza,
che ignoranza! – E si allontanò
scrollando la testa tutto sdegnato.
– Si sentí altri passi. Nuove invocazioni dell'uomo.
Si
avvicina un contadino, che portava al guinzaglio un maiale da
vendere, e fumava la pipa: Ah! ah! sei caduto nel fosso, eh! Ti sei
ubbriacato, ti sei divertito e sei caduto nel fosso. E perché non
sei andato a dormire, come ho fatto io? – E si allontanò, col
passo ritmato dal grugnito del maiale.
-E poi passò un artista, che gemette
perché l'uomo voleva uscire dal fosso: era cosí bello, tutto
argentato dai lumaconi, con un nimbo di erbe e fiori selvatici sotto
il capo, era cosí patetico!
– E passò un ministro di dio, che si
mise a imprecare contro la depravazione della città che si
divertiva o dormiva mentre un fratello era caduto nel fosso, si
esaltò e corse via per fare una terribile predica alla prossima
messa.
– Cosí l'uomo rimaneva nel fosso,
finché non si guardò intorno, vide con esattezza dove era caduto,
si divincolò, si inarcò, fece leva con le braccia e le gambe, si
rizzò in piedi, e uscí dal fosso con le sole sue forze.
– Non so se ti ho dato il gusto della
novella, e se essa sia molto appropriata. Ma almeno in parte credo di sí: tu stessa mi scrivi
che non dai ragione a nessuno dei due medici che hai consultato
recentemente, e che se finora lasciavi decidere agli altri ora vuoi
essere piú forte.
Non credo che ci sia neanche un po' di
disperazione in questi sentimenti: credo che siano molto assennati.
Occorre bruciare tutto il passato, e ricostruire tutta una vita
nuova: non bisogna lasciarci schiacciare dalla vita vissuta finora, o
almeno bisogna conservarne solo ciò che fu costruttivo e anche
bello.
Bisogna uscire dal fosso e buttar via
il rospo dal cuore.
Cara Iulca, ti abbraccio teneramente.
Antonio
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