
Ieri l'altro ero in piazza con altre
persone, con un banchetto per raccogliere le firme per una proposta
di Legge sul reddito garantito. Una Legge che dovrà equiparare
l'Italia a quasi tutti i paesi europei al riconoscimento del diritto
alla dignità umana e al sostegno minimo di sopravvivenza. In pratica
la Legge chiede che ai disoccupati, ai precari con salari irrisori
venga riconosciuto un sostegno economico nel rispetto del dettato
costituzionale che indica il lavoro e la dignità della persone come
Diritti inalienabili. Ma non è di questa Legge che voglio parlare,
piuttosto vorrei fare una riflessione sulla discussione che questa
iniziativa ha innescato tra la gente incontrata in piazza. Una
minoranza assoluta a dire il vero, ma che hanno destato in me una
forte preoccupazione che ora proverò a condividere.
E' accaduto che alcune persone, una
volta spiegate le motivazioni della raccolta delle firme, abbiano
espresso contrarietà all'iniziativa, non tanto perchè contrari
sulla funzione sociale e di sostegno della Legge, ma per il timore
che l'iniziativa potesse in qualche modo favorire anche gli
immigrati. Non sono mancate esclamazioni pesanti su queste persone,
fatte in maniera generica. Affermazioni del tipo: "che tornino a
casa loro", "sono tutti fannulloni", "le case e
il lavoro prima agli italiani" ecc.
Tutte frasi che conosciamo già, ma in
questo caso le ho ascoltate da persone che dicono di essere di
sinistra e che hanno iniziato il discorso con la canonica frase:
"premetto che non sono razzista".
Forti di questa preoccupazione,
nonostante conoscano in prima persona il problema della precarietà e
della crisi del lavoro, nonostante abbiano in famiglia figli e nipoti
precari o disoccupati, hanno rifiutato di firmare le proposta di
Legge. In pratica piuttosto che "rischiare" che lo Stato
possa concedere un diritto agli immigrati, preferiscono non
concederlo nemmeno ai loro figli, nipoti e a loro stessi. A proposito
si potrebbe citare un famoso detto popolare, ma non lo citerò
perchè credo sia ben conosciuto.
Come chiamare questo atteggiamento? Io
direi razzismo. Non quello istintivo, quello scaturito dalla paura
per il diverso. Quello è un tipo di razzismo che il tempo, la
conoscenza e la cultura può provare a smussare, anche se con
difficoltà. A mio modo di vedere questo è un razzismo con
motivazioni molto più complesse e pericolose per la società e la
civile convivenza. Questo è un razzismo consapevole dietro al quale
c'è la rabbia sociale causata dalla perdita di certezze acquisite
(lavoro, sicurezza economica). Un razzismo consapevole che dalla
paura per un futuro incerto, individua un falso obiettivo per
scaricare la responsabilità dello status quo. Un razzismo che cresce
con l'aumentare della precarietà, con il degrado sociale, un
razzismo alimentato da decenni di campagne mediatiche tutte basate
sull'individualismo.
Ai nostri figli cresciuti con pane e
televisione è stato inoculato un "vaccino culturale" che
impedisce loro di pensare in funzione collettiva. La competizione,
l'egoismo, diventano le "qualità" per poter sopravvivere
al mercato della vita. La condivisione e la solidarietà sono invece
considerati fardelli opprimenti, che impediscono il successo e la
"felicità", ed in questa fase di particolare austerità il
campo è particolarmente fertile, soprattutto nei suburbi, nelle
periferie, una guerra tra poveri a contendersi un tozzo di pane come
dei cani randagi. Con questo clima a guadagnarci però non è la
colletività ma nemmeno il singolo, l'individualista che con lo scudo
del razzismo crede di poter sovrastare il più debole. Ho parlato
finora di immigrati, ma ovviamente il razzismo consapevole non si
ferma ai confini geografici, nè al colore della pelle, al contrario
colpisce ogni parte di società che scopre una debolezza. Quindi
l'accanimento si abbate sui clochard, sugli omosessuali, sulle donne,
esattamente come è sempre accaduto in passato, in America con gli
afroamericani, in Germania con gli ebrei, gli zingari, i disabili.
Noi tendiamo a dimenticare, ma questa forma di razzismo ha colpito
anche gli italiani che sopportarono trattamenti bestiali quando
furono costretti dalla grande miseria che affamava l'Italia ad
emigrare negli Stati Uniti, nel nord Europa, ma anche solo dal sud
d'Italia al nord.
Quindi il razzismo come strumento
difensivo. In realtà però questa guerra al diverso e al più debole
non porta alcun beneficio. E' una guerra ordita da chi ha interesse a
che nel mondo prevalga l'egoismo, alla solidarietà, l'individualismo
alla collettività, perchè si sa è molto più facile governare
quando il popolo è diviso .
Divide et impera, una strategia che
impedisce alle persone di coalizzarsi per mettere in discussione il
potere dominante, vero responsabile delle iniquità mondiali e quindi
anche della attuale situazione di estrema incertezza sociale del
nostro Paese. Potere dominante che plasma la cultura delle persone,
portandole in conflitti in cui non ci sarà un vincitore se non il
potere stesso.